giovedì 26 aprile 2012

Temporale

Tuoni lontani odo nel cuore,
sento le urla di gente che muore,
rossi bagliori di morte e di sangue,
le genti innocenti che giacciono  esangui.

Non è un temporale in tempo di pace,
quando la pioggia  cade e poi, tace,
non sorge di nuovo l’arcobaleno,
il sole non torna a splender sereno.

E’ guerra, tremenda, infame e feroce,
che tra fratelli fa sentir la sua voce.
Si spara, si uccide, si muore per rabbia,
ferocia crudele di chi non è più.

Il cuore piange e pulsa veloce,
non so come fare udir la mia voce;
urlare vorrei nel pieno del vento:
SIA PACE FRATELLI , BASTA IL TORMENTO!

Ma invano il mio grido si sparge lontano,
nessuno lo ode, nessuno lo segue,
speranza rimane che il temporale,
finisca al più presto e torni LA PACE.

Francesco 24/03/2011   
Solo due parole

Sono solo due le parole che,
pensando a te,
partono dal cuore e, piano,
come un fiume che cresce,
mi arrivano alle labbra.

Queste labbra che, asciutte,
aspettano la rugiada
che le disseterà,
che potrà dal loro vita,
scaldarle,
colorirle, infine, di rosso.

Aspettano, come un bocciolo chiuso
che i tuoi baci le facciano fiorire.
Per poter, alla fine, schiudersi,
permettendo a quelle due parole,
solo cinque  minuscole sillabe,
di uscire.

Come caldo alito di respiro
ti sussurreranno,
mentre i miei occhi si perderanno nei tuoi,
Ti amo!

Rughe


Delicatamente, con le dita,
percorro i tratti del tuo viso;
polpastrelli, lievi, incontrano
le tracce della tua vita.
Intorno agli occhi sembrano
vie di fuga per le tue lacrime:
al lati della bocca segnano
il tuo sorriso e il pianto.
Quasi impercettibili,
altre più marcate;
minuscole valli che si perdono,
ogni centimetro racchiude anni vissuti.

E’ come accingersi a leggere
un grande libro,
scritto giorno per giorno,
riga per riga,
parola per parola.
E, come un libro intonso,
sfogli per prima cosa l’indice,
e inizi a leggere.
Così, sfioro questo indice
e il prologo che è il tuo viso,
la tua vita.

Piano, piano, arriverò a leggere
le pagine più belle, più intense:
la vera storia di te,
quella che custodisci,
gelosamente,
nel cuore.


20/01/2011
Francesco
Ottantasette (‘e Perucchie)



Era Frasso Telesino,
che ti vide ancor bambino;
coi fratelli e le sorelle,
ne combinavi delle belle!

Quando, a volte, avevi fame,
non ti bastava un salame.
Di baccalà, assai salato,
quanti pezzi hai rubato?.

Eh, la fame è brutta assai,
nella tua vita ben lo sai.
Soprattutto se c’è la guerra,
non c’era pace in quella terra.

Erano tempi poco belli,
anche per i tuoi fratelli;
ma il più grande eri tu,
e andasti a Timbuctù.

Così, un giorno, di botto,
hai fatto su fagotto.
Tutti quanti hai salutato,
ed in Africa sei andato.

Eri giovane e robusto,
sicuro di fare un gran trambusto,
come Scipione l’Africano,
volevi far famosi i De Gaetano.

Ma la guerra anche lì arrivò,
e far fortuna non si può.
Con il nonno, per quel sentiero,
anche tu fosti prigioniero.

Furono anni bui e tristi,
non eravate certo turisti.
Poi, alla fine, in tutta fretta,
rifacesti la valigetta.

Al paese, la fame è nera,
nel domani c’è chi spera.
Ma non certo abbascio  ‘o tuorro,
e dicesti via me ne corro..

Un’altra volta il fagotto,
e vai a fare il poliziotto.
Napoli, Caserta e poi Milano,
dove la gente ha il cuore in mano.

Non in mano lo trovasti,
ma a Milano ti innamorasti.
Con la bella  Ada, l’emiliana,
che stirava anche la lana.

Come poliziotto consumavi le suole,
per far crescere le figliole.
Prima Carmen e poi Maria,
presto gli anni volarono via.

Sino ad oggi, caro Zio,
quanto mi sei caro, in cuor mio.
La Zia Ada se n’è andata,
ma non l’hai dimenticata.

Dai  non ti sentire solo,
siamo qui, per dirti in coro,
tanti auguri Grande Vecchio,
di abbracci e baci un secchio!

Le mie parole, in là non vanno,
le riservo per il prossimo compleanno.
L’appuntamento, è presto detto,
è qui, tra un anno, sotto stò tetto.

E mi raccomando, non dimenticare,
tocca a tè, oggi, pagare.

Tuo nipote Francesco

8/4/2011

Nonostante tutto

La primavera è ritornata,
splende il sole,
l’aria si riscalda
nonostante tutto. . .

i fiori sbocciano,
le api volano,
le farfalle si schiudono,
nonostante tutto. . .

i vestiti si colorano,
i tessuti si alleggeriscono,
le coperte si tolgono,
nonostante tutto. . . .

le guerre scoppiano,
la gente muore,
il sangue scorre,
nonostante tutto. . .

i bambini piangono,
le madri urlano,
i padri muoiono,
nonostante tutto. . .

la terra trema,
lo tsunami distrugge,
gente fugge,
nonostante tutto. . .

normale vita,
normale morte,
continua il mondo,
nonostante tutto. . . .

ma, nonostante questo,
molti si chiedono,
nonostante tutto,
la PACE dov’è??

Francesco 25/03/2011
Lettera aperta

Mi rivolgo a te,
essere indegno di chiamarsi uomo.
Nemmeno la belva più feroce,
sanguinaria e ferita ti assomiglia.

Esseri come te, esecrabili figure,
vermi striscianti su questa terra,
ma il verme ha uno scopo di vita,
non meritano di esistere.

Perché, se solo potessi parlarti,
ti chiederei soltanto perché,
con quale diritto, a nome di che
compiere questo crimine orrendo.

Hai strappato un fiore,
ne hai rovinati i petali,
annullato il profumo,
distrutto la terra che l’ha generato.

Mi vergogno, dal più profondo dell’anima,
di camminarti accanto, di vederti ogni giorno,
di respirare l’aria insieme a te, di sfiorarti,
tra la folla che non sa, o non vuol sapere.

Rimane un’unica speranza,
in questa tragedia senza nome,
che se non saranno gli uomini a giudicarti,
lo sarà chi ti ha dato la possibilità di esistere,

a Lui l’ultima sentenza,
quella senza appello,
definitiva.
Per Yara e per chi, come lei,
ti ha  conosciuto.


Francesco 28/2/11
Il giglio della Pace

Il panorama che si poteva vedere, in quella che era stata la piazza principale del paese di Speme, era veramente desolante: la Chiesa Parrocchiale, in stile Barocco, che era stato vanto della cittadina e dove, la domenica, tutti i cittadini si radunavano per onorare la Festa, era rasa al suolo. Sul Sagrato rimaneva solo un cumulo di macerie ancora fumanti dai bombardamenti della battaglia appena finita.
Non v’era più traccia delle vie, un tempo trafficate e percorse da veicoli di ogni sorta, degli alberi che frondosi e ombreggianti costellavano il viale principale del paese: Corso della Pace.
Macerie ovunque, ferri contorti, mobili rotti che spuntavano tra i blocchi di cemento; qua e là un libro strappato, una cornice rotta con la tela ancora penzolante da una parte, la testata in ferro di un letto, un peluche bruciacchiato.
La guerra era passata di lì e questi erano i segni inequivocabili di questo passaggio, un desolato paesaggio di distruzione e di morte.
Proprio in fondo alla piazza principale c’era, prima dello scoppio della guerra, un magnifico giardino pieno di fiori, alberi e cespugli con una bella fontana nel centro dove i bambini giocavano e si rinfrescavano nelle giornate estive. La fontana era contornata da panchine in legno verdi che ospitavano le mamme e gli anziani del paese occupati a trascorrere qualche ora guardando i piccoli e sognando un futuro felice e sereno per loro.
Poi, un giorno, per la incurabile voglia di potere che prende gli uomini, era scoppiata la guerra, anni di dignitosa ma povera esistenza erano stati interrotti da un oceano di fuoco, di sangue, di lutti.
Ormai di abitanti, nel piccolo paese di Speme, ne erano rimasti ben pochi, qualche centinaio su più di cinquemila che erano prima della guerra.
Molti erano sfollati nelle campagne, gli uomini abili erano stati arruolati e partiti per il fronte, parecchi erano morti, travolti da quel destino crudele a molti per colpa di pochi.
C’era qualcuno che, nonostante tutto, aveva voluto rimanere a Speme, come a proteggerla da altre offese che potessero venirle, dai saccheggi di sciacalli che ogni tragedia umana fa uscire dalle tane.
Remo, il vecchio Remo ormai di guerre ne aveva già viste nella sua lunga vita, a 70 anni suonati aveva anche combattuto, da giovane, per proteggere il suo paese, la sua patria dalle orde di invasori che l’avevano sporcata.
Ora, vecchio e ormai stanco, rimasto solo al mondo, non aveva voluto lasciare la sua casa, miracolosamente rimasta intatta alla periferia del paese anche se con i muri un poco sbrecciati dalle schegge, e si aggirava ogni giorno per le strade in cerca di qualcosa da recuperare sia per una sorta di rispetto e memoria per i posteri sia anche, più prosaicamente, per trovare qualche sostentamento alla sua situazione.
Qualche confezione di alimenti a lunga conservazione riusciva ancora a trovarli là dove c’era lo spaccio alimentare della signora Pina e, solo in quello che era stato lo splendido giardino riusciva a procurarsi l’acqua potabile; miracolosamente la fontana, o quello che ne restava, buttava ancora dalla bocca del delfino in granito posto in centro alla vasca.
Aggirandosi per il giardino pubblico, Remo sentiva la nostalgia delle grida di gioia dei bambini e delle dolci ninna nanne delle mamme che, sedute sulle panchine, cullavano i piccolini nelle carrozzine.
Ah quanto avrebbe voluto rivedere ancora una volta almeno un bambino felice, un sorriso infantile. Avrebbe dato volentieri il tempo che gli rimaneva da vivere pur di rivedere un giovane fiore sbocciare ancora in quella desolazione.
Così pensava, quel pomeriggio di fine marzo, vagando per la piazza principale attento a ogni particolare che colpiva il suo sguardo attento con la speranza di trovare ancora qualcosa in mezzo alle macerie che gli potesse servire.
La piazza era silenziosa, ormai da giorni non aveva incontrato nessun altro abitante, neanche gli uccelli: passeri, merli, cince, ballerine e tortore, che di solito cantavano sugli alberi del giardino, erano rimasti in paese.
E come avrebbero fatto, pensò, a vivere, a parte l’acqua della fontana non c’era più un filo d’erba, un fiore che attirasse insetti di cui avrebbero potuto nutrirsi.
Dopo lungo girovagare si fermò vicino alla fontana e sedette su quello ch’era rimasto di una panchina.
Era stanco e demoralizzato, non sapeva più come avrebbe potuto continuare a vivere così non tanto per il cibo che non mancava, ma per il gelo che aveva nel cuore, lo scoramento che lo prendeva ogni volta che si guardava intorno.
Alzò gli occhi al cielo, di uno splendido azzurro e pieno di sole in quella giornata calda di fine marzo, e pregò, pregò come mai aveva fatto perché la Pace tornasse sulla terra, perché gli uomini rinsavissero e tornassero fratelli.
Mentre era così assorto sentì una risata cristallina provenire da dietro ad un mucchio di alberi sradicati e contorti, una volta pieni di fiori in questa stagione, proprio dall’altro lato della fontana.
Quella risata, fresca e musicale, gli riempì il cuore e, come un dolce tepore primaverile, iniziò a riscaldargli l’anima.
Subito si alzò in piedi e guardo verso quell’angolo del giardino: con meraviglia si accorse di un bambino dai vestiti strappati e sporco di polvere che, chino, verso il terreno agitava le manine felice.
In due passi frettolosi, per quanto gli consentivano le sue stanche gambe, si avvicinò: il bambino, un ragazzino dai capelli biondi e magrissimo, alzò gli occhi verso di lui, degli splendidi occhi che rispecchiavano l’azzurro del cielo, continuando a sorridere e indicando con la mano tesa per terra, in mezzo ai tronchi straziati, un  fiore, un bianco Giglio era sbucato come per magia dalla terra tormentata e si ergeva spavaldo in mezzo alle rovine sprigionando luce e profumo.
Allora Remo, con le lacrime agli occhi, prese il bambino tra le braccia, lo baciò sui capelli e finalmente capì che la PACE era tornata.







Gocce di luna

Gocce di luna nei tuoi occhi,
luminescenti come opali incantati,
ti vedo nel Selenico alone,
argentea come evanescente immagine.

Scivolano lente dai tuoi capelli,
verso gli occhi e li fanno più belli,
mi guardi e sorridi di fronte alla Luna,
come te non ho amato nessuna.

Le gocce continuano la loro discesa,
dagli occhi pian piano ti rigano il volto,
verso le labbra tanto baciate,
corrono insieme in righe bagnate.

Sei bella, mio amore, quando sorridi,
ti scherni, talvolta, e poi sospiri.
Mentre la luna, riga il tuo viso,
ti bacio le labbra socchiuse in sorriso.


Francesco 02/08/2011

A mio nonno

Con la valigia di cartone,
chiudeva per sempre quel portone,
uno sguardo al luogo amato,
dove non sarebbe più tornato.
Poi mestamente verso il bastimento,
senza una lacrima, senza un lamento.
Mentre la nave si stacca dal molo,
si rende  conto di esser ormai solo;
l'unica speranza che può restare,
è, di un giorno, poter ritornare,
in quella casa, tra quella gente
che gli rimane sempre in mente.
Poi arrivato nella terra promessa,
l'idea è una, sempre la stessa:
fare fortuna, non patire la fame
e tornar con le tasche piene
al proprio paese, tra la propria gente
per alleviar la famiglia indigente.
Tanta speranza, tutto un futuro
ma il lavoro era ben duro
pieno di rischi, malanni, incidenti
da solo, senza conoscenti.
Passarono gli anni, il tempo volava,
ma il suo cuore al paese tornava.
Quanta tristezza, mesta nostalgia,
pensare sempre a quella via.
Rimane il cuore da dove si parte.

Incidente

Che bella giornata di sole,
devo sistemare le aiuole,
quest’erba che sembra un mare,
mi tocca di corsa tagliare.

Così comincio il lavoro,
per dare al giardino un decoro.
Mi piace quando è tutto curato,
diventa un velluto il mio prato.

Dai su devo fare in fretta,
forza via questa erbetta,
comincio pian piano a tagliare
ma poi, all’improvviso: CHE MALE!

Cado di colpo e, come falciato,
mi trovo disteso sul prato.
Il dolore si fa lancinante,
ahimè ho il piede fluttuante.

Si insinua profondo il dolore,
il mio viso cambia colore,
mi invade prepotente il male,
presto di corsa all’ Ospedale!

Comincia così un travaglio,
al Pronto Soccorso,senza un bagaglio,
di corsa mi fanno la lastra,
poi il gesso, una benda e  non basta.

Lunedì devo tornare,
dovrò farmi proprio operare.
Coraggio Francesco, sii forte,
di certo non vai alla morte.

Adesso che tutto è passato,
che ormai sono ben rilassato,
riprendo la vita di prima,
così per crear qualche rima.

Ci vuole davvero un gran cuore
a scherzare su tanto dolore.
A voi un grazie infinito
per avermi sino a qui assistito.

Un sentimento ancor più forte mi coglie,
se penso al travaglio di mia moglie,
poverina quant’era disperata,
mai come ora l’ho amata.
Bolle


Bolle di sapone piene di innocenza,
lente, sicure, salgono al cielo,
sopra questo mare di tristezza,
superano ansie, rabbia e dolore.

Frustrato in questa assurda scatola,
freddo metallo venefico,
le guardo volteggiare tra i veleni,
iridescenze di innocenza infantile.

L’eterea trasparenza mi riempie,
torno per un attimo bimbo
rivivo i giochi infantili
sorrido pensando allora.

Grazie bambina felice,
dal finestrino socchiuso
esprimi la tua purezza
tra i condannati al silenzio.

17/2/2011
Appello

Ho un amica proprio di cuore,
sta in campagna, laggiù a Spoltore,
è da un po’ che non la sento,
e ne sono un po’ sgomento.

M’ero proprio abituato,
al suo scrivere fatato.
Fiabe, poesie e filastrocche,
belle, serie e anche sciocche.

Una vena, poi, teatrale,
che non era niente male.
Sempre pronta alla contesa,
ogni volta tanto attesa.

Poi, di colpo, s’è fermata,
mamma mia che mazzata!
Non ho letto più una rima,
dai Milvia, torna come prima.

Ti aspettiamo con il cuore,
scrivi, orsù lì da Spoltore,
sai, ci manchi e sei apprezzata,
con la tua “verve” fatata!
Alluvione

Rivoli fangosi
Come tristi pensieri
Scendono impetuosi
Giù per i sentieri

Il fiume impetuoso
Ribolle quasi urlando
Col suo limo fangoso
Avanza dilagando

Tutto è ormai travolto
La valanga veloce avanza
La paura su ogni volto
Si è persa la speranza

Morte e distruzione
Per questa gente affranta
Invade ogni rione
Frantuma ogni speranza.

Rimane solo la forza
Di chi si crede solo
A ripulire la scorza
Riprender presto il volo

Se colpa ci sia stata
Ma mai noi lo sapremo?
A  questa terra devastata
Il sacrificio supremo

Ma finchè batte il cuore
La lacrima si asciuga
Ci salverà l’onore
E non sarà una fuga

Insieme lotteremo
Le mani nelle mani
Alla fine riusciremo
A riveder domani.
A mio cognato

Forse il giorno è ormai passato,
scusa se mi son dimenticato.
Quanti anni, ormai, sono passati
da quando siamo diventati tuoi cognati?
Se conti bene son quasi quaranta ormai,
ma non ci hai mai dato motivo di lamentarci, mai.
Il tempo è passato, goccia a goccia
e tu, inamovibile, come una roccia,
sei passato dalla pesca con la lenza a mano
al tuo, molto più comodo divano.
Davanti a quella scatola luminosa
che, sembra, ti faccia scordare ogni cosa,
non è vero che la vita è fatta a scale,
e che c’è chi scende e chi solo sale;
nel tuo caso, caro Tassalini,
continui a salire quei gradini!
Ma sai dove sta la grande differenza?
Ogni passo che fai su quelle scale,
non ti cambia e rimani tale e quale.
Sembra che non conosci sofferenza,
a venti, quaranta o settanta
la voglia di riuscire è sempre tanta.
Ognuno che nella vita hai incontrato,
per sempre ti è rimasto molto grato.
Chi l’avrebbe mai immaginato,
che due volte nonno saresti diventato?
Non sembri un nonno con pipa e ciabatte,
ma una persona giovane che combatte;
come se ogni giorni dovessi cominciare
a vivere, lottare e ad amare.
Tanti auguri, caro Ferruccio,
te li facciamo di cuore con un solo cruccio,
quello mio che son sempre ad aspettare
che un giorno o l’altro mi porterai a pescare.
8 GIUGNO 2011


Me lo hai detto proprio te,
che quest’anno sono tre!
Tre che cosa: porcellini?
No, è una fiaba per bambini;
forse sono i moschettieri:
l’ho riletto proprio ieri.
Non è questo e non è quello,
ma qualcosa di più bello!
Guarda Ginny, coi tuoi occhi,
tutti questi bei balocchi.
Quanti pacchi colorati,
con i fiocchi satinati,
gialli, rossi, verdi e blu,
proprio come li vuoi tu!
E’ il tuo compleanno,
si ripete ogni anno,
per adesso sono tre,
che viviamo insieme a te!
Quella torta sul comò,
se sorridi te la dò,
con tre candeline colorate,
che hanno messo le tue Fate:
nonna Ingrid e nonna Mimma,
mentre tu facevi ninna.
Su preparati a soffiare,
le candeline son da smorzare,
e pensare un desiderio,
che non sia poi troppo serio:
per esempio andare al mare,
col papà e con la mamma
e il costumino color fiamma.
Tanti auguri Genny, Amore,
te lo dico con il cuore:
che tu sia sempre felice!
E’ tuo zio che te lo dice.
8 marzo

Di mimose un’aiuola
proprio lì, davanti a scuola,
quando arriva la maestra,
dai,  aprite la finestra.
Su gridate con il cuore,
tanti auguri con ardore!

Un bel ramo di mimosa,
oggi dai alla tua sposa,
tua compagna e confidente
sempre gaia e sorridente
per la vita siete uniti
sono felici anche i mariti.

Ed invece per la mamma
una rosa rosso fiamma,
per l’amore che ti ha dato
che non và dimenticato
di mamma ce n’è una sola
rose e mimose una aiuola

Per le amiche di favolando
ci sto ancora pensando,
non so ancora cosa fare,
cosa devo regalare.
Tanti fiori  profumati,
molto, molto colorati.

Ma il pensiero più sincero,
e lo dico per davvero,
và alle stupende nonne,
anche loro sono donne,
figlie, mamme e ora nonne.
Non un fiore,
ma, col cuore,
tanto, tanto, tanto amore.





lunedì 23 aprile 2012

Birichina (Ginevra)

Birichina questa bambina,
dalla sera alla mattina.
Sempre voglia di giocare,
sempre dietro a trafficare.
Con le mani dappertutto,
qualche volta rompe tutto.
Ma però che divertente,
pensa se non facesse niente.
Fosse mogia,  cupa e seria,
proprio come la miseria.
Meno male ch’è vivace,
forse troppo e mai non tace.
Anche se ancor non sa ben parlare,
lei continua a chiacchierare.
Voglio questo, voglio quello
Anche l’altro ch’è più bello!
Ieri sera sul pavimento,
a bocconi che divertimento,
sopra il tavolo sull’attenti,
un altro dei suoi divertimenti.
Con la palla da lanciare,
stai attenta a non strafare,
se la butti nel salotto
qui succede un quarantotto,
presto è ora di dormire,
e nel sonno potrai gioire,
già pensando al domani,
che farai con le tue mani.
Restituiscimi il cuore,
lo hai preso tanti anni fa,
coccolato, vezzeggiato, amato,
ma ora lo torturi.
Lo strazi, mi fai male

Non ha più sangue,,
si stringe nel petto,
pulsa piano, a strappi,,
si ridesta, se ti vedo,
ma si ferma se non ci sei.

Restituiscimi il cuore,,
questo cuore che ti ha amato,
che ancora ti appartiene,
ma che il dolore sta uccidendo
per la tua indifferenza..

convincerti è impossibile,
sei tenace e testarda,
in questo credo assurdo,
di un amore finito
che vive solo di pietà

restituiscimi il cuore,
mio unico amore
o ridammi la vita
che ti appartiene
ti amo


Francesco 30/12/2009
POEMA

Volevo scrivere un  poema,
ma a pensarci bene non ne vale la pena.
Arrovellarmi per trovare una rima,
e ritornare sempre al punto di prima.

Scrivere poesie, d’amore o di gioia,
a lungo andare, diventa una noia,
Ti sforzi, pensi, scrivi e poi cancelli,
credendo di esporre i tuoi pensieri più belli.

Quando poi le fai leggere a qualcuno,
ti accorgi di non essere nessuno,
ti senti un fesso, senza arte ne parte
altro che professare la sublime arte.

Ho deciso, torno ai primordi
terrò per me i miei ricordi,
le ansie, le gioie, le paure
rimarranno agli altri per sempre oscure.

Quando poi il poeta se ne andrà,
se qualcuno ,dei miei scritti domanderà,
dovrà fare ammenda di quanto ho patito
prima di poter prendere il mio partito.

Chiedo scusa di questo sfogo allucinato,
ma quanto ho avuto sino ad oggi mi è bastato.
Sono private e nascoste le emozioni,
non vale la pena esporle in canzoni.

Francesco 04/08/2010
L’AQUILA

QUANTE PENNE ANCORA DOVRA’ PERDERE L’AQUILA?
PIENE DI SANGUE, SANGUE DEI NOSTRI FIGLI,
GIOVANI AQUILE CHE VOLAVANO IN CIELI LONTANI,
AZZURRI CIELI PIENI DI SPERANZA.

GIOVANI VITE STRAPPATE ALL’IDEALE,
PURO, SANTO IDEALE DI PACE.
FRATELLI, FIGLI CHE HANNO PERSO LA VITA
PER GENTE SCONOSCIUTA MA AFFAMATA DI PACE.

POLITICA O RELIGIONE, RAGIONE DI STATO O DI CONVENIENZA
IL VERO MOTIVO DI QUESTE MORTI
CHI SI E’ IMMOLATO NON FACEVA  NE POLITICA NE PROSELITISMO
CREDEVA IN UN IDEALE, SEMPLICE E INNATO.

PACE, PACE PER LORO, PER NOI, PER LE MADRI CHE PIANGONO,
PER I FIGLI CHE NON VEDRANNO PIU IL PADRE.
PACE IN QUELLE TERRE MARTORIATE, PACE VERA A QUEGLI UOMINI
VITA A VITA INVECE DI MORTE A MORTE

Francesco 11/10/2010
La raccolta delle olive

L’estate passata produce i suoi frutti,
succosi, dolci anche se brutti.
Rimane il novembre brumoso e tenace,
quando la natura dorme e tace.

Soltanto un frutto ritorna ogni anno,
prezioso, assai raro che cura il malanno.
Proprio in novembre matura a puntino,
per far felice il contadino.

Conosco una tale in quel di Toscana,
che sta lavorando da una settimana.
Passeggia felice e giuliva,
nell’orto a raccoglier l’oliva.

E’ duro e faticoso questo lavoro,
ma rende assai meglio dell’oro.
Si stanca l’amica tutto il giorno china,
riempie più volte la propria borsina.

Del frutto verde oppure nero,
che cheto racchiude il proprio mistero.
Si coglie, si netta e poi lo si spreme e raffina
e il nettare dorato è più buono di prima.

Ci condisci la pasta e poi l’insalata,
sul pane col sale è la migliore mangiata.
Assai ricco, se puro, emana un profumo,
che pasce le nari proprio d’ognuno.

Succo d’olive, succo d’amore,
di terra, di sole, che prende il cuore.
E brava la Milvia che ancora raccoglie,
che lo beve, lo mangia e si toglie le voglie.

Francesco  29/10/2010

I fili dell’arcobaleno


Riprendi in mano i fili della vita,
vedi, sono ingarbugliati ma ancora interi,
cerca di dipanarli almeno fino a ieri
se qualche nodo resiste, usa le dita

sono fili di ogni colore,
rosso amore, verde speranza, giallo gelosia,
tracciano distintamente la tua via,
il più lucente è quello dell’amore





E quello nero,senza luce e amorfo,
che congiunge i lutti e i dolori,
è il più importante dei colori,
quello che ti fa vincere lo sconforto.

Ricorda il passato, tendi le fila,
della tua vita che si allunga piano,
fa in modo che i capi ti rimangano nella mano,
è la tua vita, comunque accoglila.

Quando i fili colorati finiranno,
presto o tardi, ma sempre finirà,
non cercare di tenerli con tenacità
essi si trasformeranno

in un arcobaleno di serenità






Francesco 18/02/2010

Girotondo

Ho conosciuto due sorelle,
veramente molto belle;
sin dal primo appuntamento
è stato innamoramento.

Sono entrambe di Milano,
vanno sempre mano in mano;
bionde entrambi e assai carine,
sono due piccole sorelline.

Una Ginevra, l’altra  Bianca,
tanto belle che l’occhio stanca;
sempre lì a ridere e giocare,
entrambe sono da mangiare.

Sono la gioia di papà e mamma,
che hanno acceso questa fiamma:
pura, bianca e senza fumo,
solo piena di profumo.

Un profumo che sa d’amore,
per riempire questo cuore;
quasi vecchio ma non stanco,
che batte in petto a Gabry e Franco.

Noi, per farle divertire,
abbiamo fatto divenire,
casa nostra un bel giardino:
Tarti, pesci, gatti e un cagnolino

Ci vorrebbe anche il cavallo,
ma ci manca spazio e stallo;
tanti uccelli canterini
per la gioia dei bambini.

Ma in silenzio il tempo passa,
senza suonare la grancassa,
cresce Ginevra e cresce Bianca,
lavoro e studio ci si stanca.

La vita è una ruota che gira,
comunque la si rimira;
verrà un giorno, ancor lontano,
che non si terranno più per mano.

Conosceranno due fratelli,
anche loro molto belli;
tutti e due coi capelli d’oro,
quasi quasi come loro.

Che  colore non importa, vero?
Che sia biondo oppure nero;
l’importante è che l’amore,
sbocci puro in ogni cuore.

E anche loro se ne andranno,
e felici sposeranno;
mano in mano, cuore a cuore
perché al fin vince l’amore.

Ed avranno due bambine,
veramente assai carine
perchè la storia gira il mondo,
per finire il girotondo.

Zio Francesco
12/05/2010
Prima Comunione

Ho voluto dedicarti una poesia
per questa tua prima Eucarestia
Perché oggi è un bel dì gioioso
per te, per  noi tutti, è un giorno festoso.

Evviva Bianca! Oggi è una giornata speciale,
ti sei avvicinata a Dio in modo ufficiale.
Hai nutrito la tua anima bianca e pura
col corpo e sangue del Creatore della Natura

Osanna, Osanna, Evviva, è festa grande e bella,
se ancora non lo sai, sembri una Stella,
lucente, dorata, che splende in Paradiso,
felice ci illumini tutti col tuo sorriso.
L’augurio che ti facciamo, Bianca cara e pura,
è che tu possa sempre esser sicura
che l’Amore Sacro, che oggi hai ricevuto,
ti darà sempre la felicità in assoluto.

Qualunque cosa accada nel tuo percorso
sii sicura che avrai sempre Gesù in soccorso.
Mantieniti sempre così, Bianca, buona e innocente
che non potrà succederti mai niente.
Forse ti sembrerà alquanto infantile e sciocca
la tiritera di questa  filastrocca.
Allora basta con queste righe in rima approssimata:
oggi è Festa, viva la festeggiata!

Auguri
25/04/2010

Amico mio

A che punto eravamo rimasti,
batto frenetico sui tasti,
poi, con un colpo, clicco invio
che il messaggio arrivi all’amico mio.

Vent’anni passati sono tanti,
siamo invecchiati tutti quanti,
non c’era ancora il personal computer
figurarsi internet, face book e twitter

E’ grazie a loro che t’ho ritrovato,
perduto nei meandri del passato,
sei rimasto tale e quale come ieri,
 mai sei uscito dai miei pensieri.

Ci siamo rivisti domenica passata,
ed è stata una bella rimpatriata.
Un abbraccio senza fine e quasi il pianto,
da questi occhi che t’hanno cercato tanto.

Bentornato amico mio, ben ritrovato
avrai tempo adesso per dirmi dove sei stato,
ricorderemo, insieme, i tempi andati,
i giorni che eravamo spensierati.

Ritrovarti, amico mio, è stato un sogno,
un esigenza di cui sentivo il bisogno.
Perché un amico come tè particolare
è la propria immagine speculare.

Condividere uniti tanti anni,
insieme gioie, dolori e affanni.
Contare sempre uno sull’altro,
condividere esperienze e quant’altro.

Ricomincia, così, quest’intesa,
dopo tanti anni d’oblio e d’attesa,
mi sembra di rivivere il passato
con questo amico che ho ritrovato.

Francesco 11/06/2010
Dubbio

Lieve s’insinua nel profondo,
piano sale verso il tuo io
sospetto accennato che diventa ossessione,
ti invade come un morbo letale.

Nulla riesce a fermarlo,
anche la tua buona volontà si arrende,
neanche il più sfacciato ottimismo ti aiuta
a vincere questa certezza.

Eppure tutto sembra normale,
niente ti fa pensare a qualcosa di storto.
Solo lievi sentori che man mano ingrandiscono
ti arrovellano il cervello, più forte, sempre di più.

Cerchi di non pensarci, di valutare solo il lato migliore:
ma niente riesce a vincere questa forza oscura che,
inesorabilmente, si sta impadronendo di te.
Cominci a chiederti perché, perché non te ne sei accorto prima.

Pensavi non ti toccasse, che nulla avrebbe potuto smuovere la tua certezza,
eppure ci sei cascato anche tu come tanti, molti altri prima di te.
Perché, ti chiedi, proprio a me? Perché?
Ho sempre tenuto un comportamento corretto, lineare
Ho sempre fatto il mio dovere, già il dovere!

A chi, per cosa, in che misura?
Accetti questo dubbio, ti senti più debole di prima ma, al contempo,
ti rendi conto che la tua strada è quella giusta, l’unica.
Devi solo imparare ad essere sempre te stesso, nessun compromesso, nessuna deviazione.

Questo è l’unico modo per vincere, sempre.

Francesco 22/03/2010